Questa settimana il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, si è recato in visita all’hotspot di Lampedusa insieme al Commissario europeo agli Affari interni, Ylva Johansson.
Alcuni cittadini isolani, riuniti intorno al movimento politico “Pelagie Mediterranee”, ne hanno approfittato per fare sentire la loro voce, chiedendo la smilitarizzazione dell’isola e la fine del perenne stato di emergenza in cui questa terra vive.
La visita del ministro, come hanno sottolineato i cittadini, arriva proprio nei giorni in cui si fa più viva la trattativa per l’acquisto, da parte della guardia di finanza, dell’ormai ex Hotel Lido Azzurro, che verrebbe messo a servizio, come residenza, delle forze dell’ordine di stanza sull’isola.
L’acquisizione dello stabile – finora in fase di stallo per via della richiesta di 2,5 milioni di euro da parte dei proprietari – risulta funzionale all’abbattimento dei costi di locazione delle forze dell’ordine, che risiedono praticamente in pianta stabile nell’isola e in numero sempre maggiore e che, al momento, vivono in affitto.
La presenza di migliaia di soldati nella piccola isola di Lampedusa, ponte tra due continenti e presidio ideale per il controllo degli interessi strategici della Nato nel Mediterraneo, viene raccontata come necessaria e inevitabile per la condizione emergenziale a cui è sottoposta: col passare degli anni, sta però diventando la difficile normalità di questo luogo.
Un’isola al servizio della guerra
La principale emergenza per cui è nota Lampedusa è certamente quella legata alle rotte migratorie dall’Africa verso l’Europa. Gli sbarchi negli ultimi mesi hanno raggiunto numeri altissimi, rendendo la situazione ingestibile per un hotspot sull’orlo del collasso e per un’isola che non dispone delle strutture sanitarie adeguate neanche per garantire il diritto alla salute dei suoi residenti.
È dal 1992, quando la legge Martelli sancì la presenza dell’esercito nell’isola per affiancare le forze di polizia nella gestione del fenomeno migratorio, che la presenza delle forze armate si è fatta sempre più massiccia e ingombrante.
Negli anni sono stati installati numerosi impianti militari – attualmente a Lampedusa sono in funzione 6 sistemi radar, 3 sistemi di antenne militari e civili, 5 tralicci per la telecomunicazione – che ben poco hanno a che vedere con la necessità di controllare gli sbarchi.
Come se non bastasse, le onde elettromagnetiche emesse dai radar sono causa di inquinamento ambientale e di morte per gli abitanti dell’isola. Ben venti persone, tra le settanta in servizio appartenenti al corpo dei vigili del fuoco, si sono ammalate di tumore e malattie cardiache per via di un radar piazzato a 400 metri dal distaccamento aeroportuale dei vigili del fuoco, attivo tra il 1986 e il 1998.
Appare chiaro come l’immigrazione abbia rappresentato e rappresenti tutt’ora un pretesto per legittimare una militarizzazione selvaggia, necessaria per rendere Lampedusa una delle punte di lancia della Nato nel Mediterraneo, esponendo le persone che in quell’isola vivono a conseguenze terribili dettate delle politiche bellicistiche degli USA – che di Lampedusa sono i veri padroni.
Sicilia e Lampedusa: destino comune
La gestione scellerata di Lampedusa da parte dello Stato italiano è emblematica per comprendere la funzione che la Sicilia ricopre all’interno dello stesso.
La piccola isola è preda di un turismo selvaggio durante i mesi estivi, che fa schizzare alle stelle il costo della vita per i residenti e ne devasta i meravigliosi paesaggi.
Parallelamente, il governo centrale investe cifre irrisorie per il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi di base, in primis quello sanitario, destinando l’isola a diventare una vetrina per turisti da giugno a settembre, con buona pace per chi a Lampedusa ci vive e sarà costretto a fuggire, per lasciarla nelle mani degli albergatori durante l’estate, e dei vertici della Nato per tutto l’anno.